Io guardo le figure
5 gennaio 2018
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Nonostante tutti dicano che non siamo fatti per correre, che il nostro corpo si deteriora velocemente ed inesorabilmente, rischiando d’arrivare zoppicante già alla mezza età, non per il volere di un fato funesto e burlone che ci ha fatto lo sgambetto, ma per usura, per il logorio di cartilagini e articolazioni; io la mattina esco e corro, sapendo di non essere ne’ leone ne’ gazzella,

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rispondendo positivamente al richiamo della natura selvaggia della Brianza alcolica del post capodanno.

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Attorno a me il famigerato NULLA de “la storia infinita” male oscuro e vorace che inghiotte tutto ciò che incontra, nutrendosi di noia, inedia, pigrizia, qualità di cui abbonda la nostra quotidianità, purtroppo: metri e metri di erbetta gialla asfittica e imperlata che spera solo in un piede che calpestandola la faccia scrocchiettare;

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metri e metri di asfalto ghiacciato e luccicante che attende impaziente una gambetta inesperta per farsi quattro risate al primo scivolone; e la luce pallida e timida che filtra tra i rami secchi e abbandonati a se stessi in quest’inverno improduttivo, e osserva instancabile dall’alto in basso, aspettando una qualsiasi coda di capelli saltellante da illuminare nei suoi improbabili colori da capodanno, mi trovano sulla loro strada.

Durante tutto ciò, ho avuto un incontro, che ha fatto da propulsore alle mie uscite.

Ho incontrato il dolore.

o incontrato giorni in cui il dolore è così forte da impedire il respiro.Ho conosciuto momenti in cui anche solo il pensiero del dolore che stai vivendo, ti gela ogni movimento e ogni desiderio di esso.

Ho conosciuto una via di fuga da tutto ciò, il rifugio nella corsa, nel ritmo, nella fatica.

Ho riconosciuto la corsa come fuga, conoscendone le antiche origini. C’è spazio per tutto e per tutti su questi sentieri da runner, per gli entusiasti e per chi si trascina, per i vincitori e i vinti, per chi sta scappando da qualcosa e per chi corre per raggiungere qualcosa… Solo per la paranoia non c’è spazio, non c’è tempo.

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L’unico tempo che c’è è quello che scorre inesorabilmente mentre corri, mentre invecchi, senza rispetto per la fatica, senza chiedersi il motivo per cui lo fai, per cui lo faccio.

Aggiungo a tutto ciò qualche immagine perché è noiosa e complicata la lettura di questo link… e c’è chi pur non guardando solo le figure, corre veloce sulle parole, sul dolore, molto veloce, sull’asfalto luccicante e scivoloso… e alla fine vince. Perché il segreto è avere un pizzico di superficialità e un pizzico di follia.

Buona corsa se puoi, buon cammino se vuoi, per tutto l’anno, che sia per te fatto d’impegno, di ricerca della felicità. Perché sia un anno dove riconosciuta l’idiosincrasia alla quotidiana inedia, e alla superficialità dei “non ne ho tempo”, si trovi il modo di uscirne… di uscire… magari di corsa.

Bella lì!